domenica 6 marzo 2011

eccidio della città e dispersione degli Ebrei



Profezia sopra Gerusalemme. Siccome il Deicidio fu il delitto più enorme, che siasi mai commesso; così fu da Dio punito col più tremendo castigo. Lo stesso Salvatore nel Vangelo aveva predetto, che gli Ebrei in pena della loro ostinazione sarebbero stretti d'assedio nella propria città, e ridotti a tali calamità da chiamar fortunate quelle madri, che non avessero avuto figliuoli; che quel popolo deicida andrebbe disperso in tutte le parti del mondo privo di principe, di sacerdozio, di tempio; che lo stesso tempio, nel quale, per l'avanti erasi Dio cotanto compiaciuto, sarebbe affatto distrutto, non rimasta pietra sopra pietra: e che questi mali si sarebbero veduti prima che passasse la presente generazione.

Segni che precedono la rovina di Gerusalemme. Terribili erano queste predizioni, terribile l'avveramento delle medesime. Dio per altro che è bontà infinita volle ancora ammonire gli ebrei con parecchi segni orribilmente strani, che giorno e notte rendevansi manifesti. Nel dì della Pentecoste fu udita nel tempio una voce, che senza potersi conoscere d'onde venisse, fortemente rimbombava: Usciamo di qui, usciamo di qui. Un uomo chiamato Anano venne dalla campagna, ed entrato nella città non rifiniva di gridare: Guai al tempio, guai a Gerusalemme; voce dall'Oriente, voce dall'Occidente, voce dai quattro venti; guai al tempio, guai a Gerusalemme. Egli fu preso, messo in prigione, battuto severamente; ma non si tenne mai dal ripetere i medesimi lamenti sui bastioni, nella città per tre anni, dopo cui sclamando: Guai a me stesso, venne colpito da una pietra sul capo e morì.

Una notte apparve intorno al tempio e all'altare una luce sì viva, che risplendette per mezz'ora come di mezzogiorno. Una porta del tempio di bronzo e di peso così enorme, che ci volevano 20 uomini per chiuderla, si aperse da per se stessa. Alcuni giorni dopo in tutti i paesi vicini a Gerusalemme si vedevano in aria eserciti schierati i quali la cingevano d'assedio. Apparve una cometa, che vomitava fiamme a guisa di fulmini, e una stella in forma di spada stette sospesa un anno con la punta rivolta a Gerusalemme. Tali sono i segni prodigiosi che notte e dì annunziavano a questo popolo l'imminente sua rovina, e lo chiamavano a penitenza.

Eccidio della città e dispersione degli Ebrei. A tanti segni non mai veduti gli Ebrei erano atterriti, ma niuno pensava a invocare la misericordia del Signore. Intanto videro circondarsi la città da un esercito romano, prima guidato da un celebre guerriero di nome Vespasiano, poi da suo figlio Tito. Costoro, senza saperlo, fatti strumenti dell'ira divina, cooperarono ad avverare quanto era scritto nel Vangelo riguardo allo sterminio degli Ebrei. Formato da prima un assedio a distanza di due miglia dalla città, ne chiusero tutte le uscite. Avvenne questo circa le solennità pasquali, in cui grande moltitudine di Giudei essendo venuti in Gerusalemme per le feste, vi restarono chiusi, onde la scarsezza dei cibi si fece tosto terribilmente sentire. Gli abitanti furono ridotti a mangiare qualunque sorta di alimenti, anzi l'un l'altro si strappavano di mano le cose più schifose a fine di acquetare la rabbiosa fame. Per avere una qualche idea degli eccessi, cui furono dalla miseria condotti gli Ebrei, basti quello di una madre. Stretta essa dalla fame, ruppe i vincoli del sangue, calpestò i diritti della natura e, fissando gli occhi sopra un innocente fanciullo: Sventurato, gli disse, a che ti serbo? A soffrire mille orrori prima di spirare e per colmo di sventura soffrire un'indegna schiavitù. Così dicendo, lo afferra, lo scanna, lo arrostisce, ne mangia la metà e il resto nasconde. Orrore, al quale quelli stessi che videro a grande pena potevano credere!

Tito, che già s'era fatto padrone d'una parte della città, diede l'assalto al tempio e appiccò il fuoco alle porte, ordinando per altro di conservare il corpo dell'edificio. Ma un soldato romano, preso un tizzone ardente, lo gettò nella parte interiore del tempio. Il fuoco si dilatò e, a dispetto degli sforzi di Tito per arrestare l'incendio, tutto il tempio fu consumato dalle fiamme.

I Romani trucidarono quanti caddero nelle loro mani, e misero tutto a sangue e a fuoco.

Si avverarono così le sciagure predette dal Divin Salvatore a Gerusalemme. Lo stesso Tito confessò che il buon successo dell'impresa non era opera sua, e che egli era soltanto stato strumento dell'ira divina. Nell'eccidio di Gerusalemme perirono un milione e centomila abitanti. Il resto degli Ebrei fu disperso per tutto il mondo, condannato da Dio ad andare qua e là errante, senza principe, senza altare e senza sacrifizio, in mezzo a nazioni straniere, sino al finire dei secoli, nel qual tempo aprirà gli occhi e riconoscerà il suo Dio in Colui che ha crocifisso.

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Dal libro: Storia sacra, di don Bosco, pagine 212-213 (capo decimoquarto). Ai Salesiani, così attenti nel valorizzare ogni più piccola parola del loro fondatore san Giovanni Bosco, si potrebbe chiedere di ripubblicare integralmente tale libro.

2 commenti:

  1. So che il curatore di questo sito è persona colta, saggia e prudente. Levo voti al cielo che nessuna fiamma rossa e impura possa guizzare verso questo brano di s. Giovanni Bosco e intentare una causa di antisemitismo al Tribunale internazionale; o attraverso certi servizi oscurare questo interessantissimo sito. Giulio

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  2. Se non avete troppo da ridire per gli errori dello scanner (come GIADA IACCABEO), c'è questa pagina internet: http://www.donboscosanto.eu/oe/storia_sacra_[10a_edizione].php

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