Ieri faticoso pellegrinaggio al santuario di Pompei: messa alle 10:30 in una cappella "Bartolo Longo", anzi no, un'altra cappella perché quella era in ristrutturazione (in navata centrale c'era ancora la messa delle 9, che da novanta minuti ancora non prendeva la via della conclusione). Nella nuova cappella troviamo una scena così:
Davvero c'erano tutti questi fedeli per la festività della della Beatissima Vergine? Ma no! Il presidente della celebrazione non ha minimamente menzionato la Vergine, né nell'omelia, né alla fine. Eppure la moda pretesca di questi ultimi anni è concludere le omelie con un generico riferimento alla Madonna, come se ci credessero davvero. Ma proprio ieri niente menzione.
L'omelia era stata incentrata sul «liberarsi dai desideri mondani di mondanità » (come se esistessero anche dei desideri
"non mondani" di mondanità , oppure dei desideri
"mondani" che però non puntano alle mondanità ). Ora, le omelie dovrebbero istruire il popolo, no? Invece vi troviamo sempre la solita noiosissima sequenza di luoghi comuni. Voi direte: che c'è di male che uno predichi contro i desideri mondani di mondanità ? Ecco: in auto e in autobus abbiamo al cruscotto una serie di luci-spia: acqua, olio, batteria, freni, carburante... Se si accende una spia
precisa abbiamo un'indicazione
precisa.
Immaginate invece che la vostra auto abbia una sola unica spia generica intitolata:
"c'è qualcosa che non va". E che a un certo punto si accende. Che si fa?
Le omelie di questi pretonzoli sono esattamente la stessa cosa. Parlano contro le
generiche mondanità . Dicono che Dio ci ama (un generico "Dio" che genericamente "ci ama"). Talvolta -addirittura!- se la prendono con
generiche ingiustizie, commentando
genericamente il telegiornale della sera prima. Oppure -incredibile!- dicono che "Dio" ha dato il suo unico Figlio per noi, come se nessuno lo sapesse e come se il sentirselo ripetere sciogliesse il cuore intorpidito dei presenti.
La cappella era piena di cristiani convenuti ad ottemperare un obbligo religioso, perché
"parrà brutto se non marco presenza". A chi o a cosa "parrà brutto" non è mai ben chiaro. Ed ancor meno è chiaro cos'è la vita cristiana, in cosa bisogna credere, a cosa servono i sacramenti, perché mai occorra andare a messa
anche se piove oppure se c'è un sole (come ieri) che spacca le pietre... Invece delle varie spie
precise i pretonzoli oggi danno un'unica indicazione
generica. Bisogna amare! Bisogna essere poveri! Bisogna rinunciare al male! Bisogna accettare gli altri! Eh, ma insomma...!
Chi va a messa in un santuario famoso si aspetta di trovare qualcosa di serio che rinvigorisca la vita di fede così tanto maltrattata nelle parrocchie. Figuratevi quando per andare al santuario ha investito tempo, fatica, soldi e pazienza, e invece trova il più patetico parrocchialismo: la voce
impostata di lettori e concelebranti (come se i fedeli fossero un ammasso di bimbi cretini che devono imparare le tabelline), la cappella che sembra ricavata da un deposito calcestruzzi, la bruttissima pala d'altare (per fortuna la foto mossa non rende!) e un orrido crocifisso appeso per le mani, un impianto di amplificazione per far sentire fino in fondo le trite banalità dell'orso Yoghi, suppellettili sacre che sembrano comprate al negozietto cinese...
Il gruppone in maglietta blu era una comunità di fedeli di Casapulla, famosa città del sud Italia. Al termine, al momento della benedizione, i celebranti si siedono per permettere ai capetti in blu di fare le loro omelie (tutti a ringraziare tutto, applausi ad ogni dove, e altri saluti e ringraziamenti), impedendo l'unico necessario
ringraziamento dopo la Comunione (un tizio davanti a me, al secondo applauso che preannunciava un ulteriore intervento di saluti e ringraziamenti, ha sommessamente recitato questa litania:
«ma che stracazz...»): e quando finalmente i casapullesi hanno avuto il loro momento di gloria e
colui-che-presiede si appresta a dare la benedizione conclusiva, ecco un altra fastidiosa sorpresa: la lunga preghiera per domandare a "Dio" (cioè agli uffici vaticani competenti) la canonizzazione del beato Bartolo Longo - canonizzazione che è una
colossale opportunità commerciale per il santuario visto che nella preghiera quel beato non se lo caga nessuno.
Chi vive da quarant'anni in prossimità del santuario mi fa pure sapere che fino a non molti anni fa c'era nelle ore di punta una messa ogni 30 minuti (sparse tra le varie cappelle, ma c'erano). Poi da qualche anno è entrato in vigore il bizzarro criterio del "meno messe e più messa": le celebrazioni sono a orari tondi (ogni ora, ma non alle 18) perfettamente incompatibili con gli orari dei già abbastanza squinternati mezzi pubblici, e naturalmente quasi tutte "concelebrate", perché se il prete sta lì
da solo la gente potrebbe pensare che è davvero
lui l'intermediario tra i fedeli e Dio... Nella sala confessioni il clero scarseggia sempre, le messe scarseggiano ma sono
concelebrate, e in compenso ci si lamenta che i preti sono pochi.
La peggiore pastorale vocazionale possibile è proprio quel tipo di prete, perfettamente a suo agio nel
presiedere una celebrazione che si
trascina dall'inizio alla fine, e specialmente nella preghiera eucaristica
"quarta" per evitare che le vecchiette,
trascinandosi, ne approfittino per "concelebrare" anche loro. Gli altri fedeli dormono, in attesa che il
presidente li svegli con il segnale apposito ("mistero della fede!").
A trascinarsi sono anzitutto le voci e il canto: per esempio quella merdosissima canzonetta
«Nella tua messa, la nostra messa» è una formidabile tortura per la pazienza di chiunque. Ascoltare quelle patetiche preghiere dei fedeli (banalità preconfezionate la cui lettura è appannaggio "dei fedeli") riempie di desolazione. Recitare il Credo a velocità di moviola e accorgersi che ognuno lo finisce in un momento diverso, è un eccellente lassativo. Sentire che le formule più semplici (come "amen") sono recitate a volume più alto (e quel "rendiamo grazie a Dio" finale recitato con un senso di liberazione), fa capire cos'è diventata la liturgia
perfino in un santuario mariano. Non ci si illuda che all'altar maggiore le cose cambino drasticamente.
Subire questo stato di cose uccide lentamente la speranza e riduce il cristianesimo ad un moralismo. La messa,
fonte e culmine della vita della Chiesa, ti induce a fuggire dalla Chiesa. Ma questo, i pretazzi, ancor oggi non lo hanno capito. Sanno solo trasformarsi in gelide statue di sale (dotate di falso sorriso di circostanza) quando uno gli dice che preferisce la Messa
Vetus Ordo.