Avanza ancora la clerical-burocrazia.
La notizia è pressoché passata in sordina: dal 1° giugno 2016 la creazione di istituti
diocesani di vita consacrata dovrà essere approvata dal Vaticano
altrimenti non sarà valida. (nota: finora il CJC §579 si limitava a richiedere: «purché sia stata
consultata la Sede Apostolica»).
Questo perché le diocesi approverebbero con facilità
carismi poco originali.
Tento qui di spiegare perché è un pasticcio burocratico che prelude ad altri pasticci. Mi sia concesso, per amor di brevità, di risparmiare complessi distinguo fra i personaggi sostanzialmente
furbetti e quelli sostanzialmente
onesti.
Tre caratteri tipici della burocrazia clericale sono:
- danneggiare gli onesti, al fine di creare un po' di dispiacere ai furbi;
- appiattire le espressioni della fede ad un elenco precostituito di ciarpame clerically correct;
- trasformare la rete di rapporti di fiducia in una rete di regolamenti.
Mi pare che il sopracitato provvedimento risponda a tutti questi requisiti. Vediamoli uno per uno.
1) Non colpisce gli imbroglioni ma gli onesti.
Le cronache ecclesiali degli ultimi decenni riportano diversi episodi riguardanti autoincaricati santoni infaticabili nel fondare comunità religiose che attraggono anime in buona fede, comunità il cui "carisma" consiste nella fedeltà assoluta al santone.
Il problema, in altre parole, non sta né nelle anime in questione (che hanno bisogno di una guida
onesta), né nel processo diocesano di riconoscimento, ma nella personalità del santone fondatore che ha i mezzi e la costanza per abbindolare l'ordinario diocesano. Il provvedimento sopra nominato, nella speranza di rimediare alla faciloneria di certi vescovi, colpisce preventivamente chiunque stia costituendo una comunità (e ottimisticamente trascura il caso in cui il santone goda di appoggi in Vaticano tali da rinviare per interi decenni i provvedimenti che andavano presi subito, come i vari Maciel, Burresi, ecc.)
Nelle cronache ecclesiali, infatti, raramente c'è spazio per la vita di tante comunità religiose avviate in modo onesto e trasparente, dove il fondatore gode di fiducia ma non di culto di latrìa dalle anime che vi si aggregano. La nascita di tali comunità avviene generalmente perché il tipo di vita religiosa ivi promosso non è disponibile altrove. Cioè avviene
in piccolo esattamente ciò che avveniva coi grandi ordini religiosi (la riforma cappuccina, i carmelitani scalzi, ecc.).
Gli onesti devono anzitutto sudare per non farsi stravolgere la comunità dai vescovi, che generalmente vedono la rara nascita di nuove comunità con sospetto e come buona solo a tappare qualche buco (e i buchi, nelle caselline del foglio Excel di un vescovo, non mancano mai). È il caso, ad esempio, di tutte quelle comunità i cui sacerdoti vengono automaticamente impiegati nelle parrocchie, come se la comunità fosse una succursale della diocesi (quanti di loro segretamente sospirano: "se avessi aspirato a guidare una parrocchia sarei entrato in diocesi, non qui!")
Ora gli onesti devono sudare anche per
dimostrare di essere
"originali". Non solo al vescovo, ma anche all'ufficio vaticano che esaminerà la pratica alla ricerca del pelo nell'uovo. È come per il fisco: sei colpevole fino a prova contraria.
Così, nel tentativo di rendere
probabilmente più fastidiosa la vita ai furbetti, si rende
sicuramente la vita più rognosa agli onesti.
2) L'appiattimento al clerically correct.
Una delle aberranti conseguenze dell'introduzione del
Novus Ordo è la possibilità (realizzata con spettacolare frequenza) di trasformare la liturgia in un farraginoso cerimoniale. Chiunque abbia partecipato almeno una volta ad un Ritiro del Clero, con annessa recita di qualche Ora del Breviario, avrà potuto osservare la trascinata e non proprio compìta e devota esternazione di versetti e formule. E questo tra il clero, riunito quando il gregge non lo vede. Ed è lo stesso atteggiamento riscontrabile in una qualsiasi parrocchia: orsù, facciamo il cerimoniale, così potremo dire di aver marcato il cartellino.
Nel vagliare una nuova comunità, il pelo nell'uovo vanno a cercarlo anzitutto nella liturgia: la recita devota, mentre a parole è incoraggiata, nei fatti è classificata come un dannoso amore per l'esotico, mentre il trascinarsi come al Ritiro del Clero, o lo spontaneismo ipocrita di robe come le Preghiere dei Fedeli (massime quelle dei seminaristi), è tutto sommato approvato (se "dovunque" si trascinano così, allora non puoi criticare chi fa altrettanto; nel frattempo il vescovo solleverà un arcuato sopracciglio nel notare che in una comunità si preferisce il gregoriano alle canzonette schitarrate: sarà vero
"carisma"? ai colpevoli l'onere di dimostrarlo).
E non apriamo il capitolo sul latino e la liturgia tradizionale, che sapete già tutti dove si va a parare.
Stesso discorso per la vita interna: due ore di meditazione? nooo, che esagerati! digiunate due volte alla settimana? nooo, troppo spesso! Avete la levata alle sette e trenta? nooo, troppo tardi! preferite la Messa comunitaria? nooo, non siete aperti alla diocesanità e alla parrocchia! vorrete mica vivere in clausura? vorrete mica scansarvi i grandi eventi diocesani e interdiocesani, compartimentati nello spazio assegnatovi (in modo da conteggiare con precisione eventuali defezioni)? nooo....
Così, nel tentativo di ostacolare
probabilmente i furbi, si finisce
sicuramente per appiattire gli onesti, e l'itinerario di verifica e riconoscimento diventa l'arma con cui snaturare la comunità.
Dalle nascenti comunità, infatti, mentre si esige
"originalità del carisma", contemporaneamente si esige una
non originalità nella vita comunitaria e perfino nel modo di esprimersi. Cioè si pretende un carisma
"originale" (che deve essere verificabile anche dai competenti uffici vaticani come tale, che devono essere addirittura documentati sulle
«reali possibilità di sviluppo»: e che è, il
business plan di un prodotto da lanciare sul mercato?), in modo però da poterlo castrare. Per esempio: non puoi più dire che X è un'eresia, Y è ambiguo e Z è la verità, ma devi considerare la varietà dei punti di vista, aprire piattaforme di dialogo, considerare l'arricchente diversità dei carismi, distinguere il peccatore dal peccato, evitare ogni più piccolo conflitto, operare misericordia piuttosto che giustizia...
I membri della comunità, non meno che i novizi, devono essere purtroppo addestrati all'uso intensivo delle sfumature del
clerically correct ed allenati ad emettere un sorriso beota in quelle circostanze dove Nostro Signore avrebbe piuttosto adoperato una «sferza di cordicelle» o risposto «voi che avete per padre il diavolo».
Così, nel tentativo di affaticare
probabilmente i furbi, si finisce
sicuramente per estenuare e castrare gli onesti.
3) Management ecclesiale: trasformare Zaccheo in Ponzio Pilato.
La variopinta gerarchia dei donabbondio con mitria e pastorale, ancor più del proprio stesso parco parroci, ha una segreta, inflessibile, maniacale fissazione: quella del potersene lavare le mani.
Consigli diocesani, conferenze episcopali, conferenze dei superiori maggiori, collegi dei consultori, consigli parrocchiali... tutti a produrre sempre più ampi documenti, relazioni, lettere, esortazioni, nella cui alluvione di chiacchiere diluiscono direttive e regolamenti. E poi vicari, incaricati, commissari, responsabili... tutte figure intercambiabili. La rete di rapporti di fiducia è stata sostituita da un apparato burocratico. Pensate per un momento a quante volte un ecclesiastico vi ha risposto:
"io sarei anche d'accordo, ma sai... il consiglio... il documento... la curia... la conferenza episcopale...".
Le grandi decisioni (approvare un nuovo istituto, ordinare un sacerdote, ecc.) non vengono più prese sulla reciproca fiducia (come Innocenzo III con san Francesco), ma sulla base di relazioni scritte (come tra dipartimenti dell'apparato sovietico). Come se il vagliare una vocazione o un carisma consistesse nell'applicare normative e nel misurare parametri: "non è colpa mia, ho solo seguito le istruzioni". Pertanto il vagliatore incaricato può essere qualunque insipido ometto capace di dimostrare di averle seguite: "mancano ancora queste quattro caselline del foglio Excel, la comunità non si può approvare".
Coloro che invece hanno dimestichezza con ipocrisia e burocrazia avranno ovviamente vita ben più facile.
Così, nel
tentativo di far vagliare anche da un apposito ufficio della Santa Sede una comunità costituita da un furbetto, si finisce
inevitabilmente a stringere di più il cappio al collo a quelle originate onestamente.
Congettura: è solo in preparazione di un ulteriore giro di vite.
La proliferazione di norme e controlli sortisce sistematicamente l'effetto opposto (eterogenesi dei fini): un vescovo potrà essere ancora più approssimativo nel vagliare un
"nuovo carisma", tanto l'ultima parola spetta al competente ufficio vaticano che esaminerà l'incartamento.
Se si accetta l'idea che in Vaticano sappiano pianificare a lungo termine, si può prevedere che il passo successivo sarà quello di sfoltire il numero di comunità tentando di sopprimere ed accorpare quelle incapaci di dimostrare il proprio
"originale carisma", cioè una propria materiale utilità contingente. Un vero centralismo dei soviet, autoincaricatosi di incasellare, normare e controllare con la scusa che solo così si starebbe incoraggiando e accompagnando.
Ed anche così, come al solito, il tentativo di ridurre
possibilmente i furbetti si trasformerà nel
sicuro falciare gli onesti. Toccherà pregare ancora di più con la formula:
salvaci, Signore, dalla burocrazia clericale.