sabato 9 maggio 2020

Epica trollata di don Ariel contro il Summorum Pontificum

Ho seguito il lungo intervento di don Ariel che chiede di abolire il Summorum Pontificum.

Anzitutto gli ha già risposto Benedetto XVI: «Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso» (Lettera di Benedetto XVI ai vescovi in occasione del Summorum Pontificum, 7 luglio 2007).

Queste parole don Ariel le conosce bene. E sa pure meglio di noi che se parte la moda dei papi che annullano le positive legiferazioni dei papi precedenti, a Dio piacendo un prossimo Papa abolirà gli "infelici, inopportuni e dannosi" Concilio Vaticano II e Riforma Liturgica.

Dunque: perché oggi don Ariel all'improvviso si scaglia contro il Summorum Pontificum (e, per logica conseguenza, contro la stessa Messa tridentina)? Perché l'esercito di sbroccati da Facebook - che pure sta provvedendo a "bannare" - non gli dà tregua. Ed ancor più perché è il suo modo elegante di confermare da proprie fonti che l'Inquilino di Santa Marta ha già firmato la condanna a morte di quel motu proprio. Come direbbe Sun Tzu se fosse seminarista, "se non puoi impedire un atto iniquo dei superiori, fàttene mosca cocchiera prima che diventi pubblico". Sapete, l'Inquilino ha già il comodo alibi della comunione obbligatoria sulle mani...

Vorrei fermarmi qui ma dato che le sue argomentazioni a volte mi sembrano capziose e cavillose ed errate, devo aggiungere qualche chiosa. In ordine sparso:

1) Don Ariel invoca l'abolizione del motu proprio Summorum Pontificum in virtù del principio che l'universalità non può sottostare alla particolarità. Da questo punto di vista, e solo in linea di principio, si potrebbe perfino dargli ragione: quel motu proprio è, di fatto, una piccola toppa su uno strappo "universale". Ma eliminare la toppa esige anzitutto il risanare lo strappo, cioè correggere drasticamente la Riforma Liturgica. Se la Riforma è talmente mal recepita che ha bisogno di essere Riformata, significa che non è buona. Se l'introduzione di un nuovo sistema frenante ottiene di moltiplicare tantissimo gli incidenti, è onesto incolpare tutti i guidatori? Specialmente alla luce del fatto che chi preferisce usare il vecchio sistema non fa incidenti?

2) Nella prima metà del video don Ariel depreca gli eccessi dovuti all'abolizione della lingua sacra (il latino) e a quei sociologismi da romanticismo "tedesco decadente" nei documenti conciliari, un Concilio "nato vecchio e partorito morto", inquinato di hegelismo, "senza uno sguardo rivolto verso il futuro", ecc. Ciononostante proclama la sua incrollabile fedeltà al Concilio, come se non notasse il rapporto causa-effetto (oppure come se stesse lanciando uno zuccherino ai monsignorini che lo tengono d'occhio). Sarebbe come a fronte dell'iniqua legge che liberalizza l'aborto, dolersi che troppe mamme sopprimano il figlio in grembo.

3) Don Ariel certamente avrà letto l'enciclica Quanta cura in cordibus nostris, e di sicuro si sarà chiesto: perché la Riforma Liturgica è stata fatta prima di ripulire adeguatamente la formazione al sacerdozio? E perché è stata calata addosso al clero e ai fedeli praticamente da un giorno all'altro? Ed in attesa della Riforma della Riforma che auspica, perché dovrebbe essere «improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso» ciò che «per le generazioni anteriori era sacro»?

4) Non gli si può contestare il prendersela con coloro che confondono la forma esteriore con la sostanza. Ma è scorretto fare di tutta l'erba un fascio, sia perché le logomachie dei leoni di Facebook non sono un campione veramente rappresentativo dell'intero gregge del Signore, sia perché chi non è provvisto di adeguati studi liturgici si esprimerà più frequentemente sulla forma (che vede e che vive) che sulla sostanza (che non è capace di descrivere con rigore da scafato liturgista), senza che ciò implichi che ama più la forma che la sostanza. Ed anche ignorando del tutto ogni questione liturgica, è forse impossibile abbeverarsi a quello stesso sacro fonte che «per le generazioni anteriori era sacro»?

5) Quando retoricamente dice che "i problemi si risolvono camminando in avanti, non tornando indietro", don Ariel sta dimenticando che se davanti hai un precipizio, devi tornare indietro sulla retta via, non proseguire verso il precipizio rimproverando chi ti ricorda l'esistenza del precipizio. Quando definisce "cadavere" la Chiesa tradizionale, sembra confondere il popolo Summorum con i club di nostalgici della monarchia. La Chiesa conciliare, intanto, corre spedita verso il precipizio (si vedano ad esempio le stangate che si è autoinflitta in occasione della recente pandemia). Il pianto di un bambino è inteso a segnalare alla madre un disagio: la buona madre, anche senza spiegazioni dettagliate, capisce subito cos'è che non va. Possiamo chiamare "Santa Madre Chiesa" quella gerarchia che invece insulta il bambino, lo mette a tacere (e a digiuno forzato) e gli dice che non capisce niente di liturgia?

6) Don Ariel finge di non sapere che quegli "accidenti esterni" di tradizione plurisecolare non sono pennellate estrose di qualche parroco chic ma hanno ognuno una loro storia. Il fatto che l'apostolo Pietro celebrasse sprovvisto di "diaconi in dalmatica", non implica che manipoli e dalmatiche e tutto il resto siano aggiunte arbitrarie. Con quella stessa logica si può infatti condannare quasi qualsiasi cosa del Novus Ordo, poiché Simon Pietro non l'ha usata (ricordiamo che Paolo VI dovette urgentemente intervenire d'autorità perché la beta release della Novus Ordo non conteneva neppure il segno della croce all'inizio). Condannare le esteriorità "antiche" per propugnare un'esteriorità "moderna" equivale a insinuare che la liturgia sarebbe un musical teatrale da aggiornare ogni volta che impazza una nuova moda...

7) Don Ariel dice che i fautori del Vetus Ordo adoperano quest'ultimo "contro la Riforma Liturgica e un Concilio della Chiesa". Questo è specularmente vero anche e soprattutto nella direzione opposta. E, dopo quanto sopra riportato, è a dir poco bizzarro considerare superiore e adeguata una liturgia inventata letteralmente a tavolino come coi mattoncini delle costruzioni, per poi subito considerare vecchiume per latinisti dotati di molto tempo libero la liturgia tridentina (rimasta strutturalmente identica per almeno tredici secoli e poggiante su tradizioni ancora più antiche), che gode di indulto perpetuo, e che ha nutrito intere schiere di santi, e che una certa fetta di cattolici oggi ancora ricorda (anche il clero, anche il vescovo che ha ordinato don Ariel al sacerdozio, anche lo stesso Papa). Come se il maggior merito e principale scopo della Novus Ordo fosse quello di spedire in soffitta la Vetus. Che strano... dove abbiamo mai sentito battere tanto su quest'argomento? E come mai Benedetto XVI, sopra citato, era convinto esattamente del contrario, al punto da infliggerci la poco felice espressione del "due forme dello stesso rito"?

8) Se è legittimo criticare quelli che "si inventano un passato mai esistito, per imprigionarsi al suo interno", è almeno altrettanto legittimo criticare quelli che si inventano un presente inesistente per imprigionarsi al suo interno. In questo secondo caso, infatti, d'improvviso viene calata addosso ai fedeli una novità che i fedeli non desideravano né abbisognavano. Liturgie-musical, fumosità su Ponti e Muri, dialogo con la Pachamama, frecciatine velenose gratuite contro i presunti "rigidi", affidamenti "in differita", "Protocolli" ridicoli... scusate, ma in quale "presente" vivono i fautori di questa merda? (non posso certo chiamarla cura delle anime). Don Ariel ha intelligenza più che sufficiente per comprendere i motivi per cui certuni si rifugiano in quel "passato" che non è davvero passato, e che lui distorce in modo da presumere "mai esistito" (straw man argument).

9) La comoda invettiva contro apparenze ed esteriorità contiene una trappola: quella del legittimare non solo la spontaneità e genuinità, ma anche il caos, la confusione, l'anarchia. L'abito non fa il monaco ma lo veste. La talare non fa il prete, ma ne trasmette per prima la dignità. Un prete in abiti da pensionato, con o senza linguetta anglicana penzoloni dal colletto della camicia, verrà percepito come un impiegato statale del sacro, non come un ministro di Dio "vicino alla gente". Inutile dire che il pastore "deve puzzare di pecore" se il pastore in questione si mostra come uno svaccato passacarte. Prendersela con la "rigidità" - cioè contro chi ricorda che certe "apparenze ed esteriorità" costituiscono un vero e proprio dress-code del sacerdote e della liturgia - significa banalizzare il soprannaturale. Quando preti e seminaristi "rigidi" (cioè tradizionalisti) vengono accusati di "fuggire da incombenze pastorali reali", li si sta accusando di fuggire la preghiera e la celebrazione dei sacramenti, oppure di non essere abbastanza clown da parrocchia ad uso entertainment di qualche topo di sagrestia, a perdere tempo in insignificanti riunioni-fiume, cartelloni, giochi estivi, preparazione sagra della melenzana con la cioccolata, redazione turni del campo di calcetto, ecc.? E in quei casi in cui veramente tali soggetti sono "innamorati di un passato che non hanno mai vissuto", siamo proprio sicuri che la loro non sia la reazione all'essere stati accanitamente deprivati di forme, metodi, ordine, dress-code validi per tutti? Siamo proprio certi che il loro non sia un rifiuto dell'anarchia ministeriale e liturgica? Eppure don Ariel per un attimo sembrava averlo riconosciuto, che un prete-clown "si mette a fare il tridentino per un processo psicologico reattivo". Si reagisce ad un male, un fastidio, un'ingiustizia, non alla propria stessa natura: uno con la vocazione a fare il clown non reagirà.

10) Si fa presto a criticare il sacerdote che passa all'antico rito senza "studiare la sua evoluzione nei secoli". Ma allora il don Ariel perché non dice lo stesso della Novus Ordo? Forse che i giovani leviti di oggi sono addottoratissimi su ciò che celebrano? Forse che nel 1969, nelle poche settimane fra la promulgazione e l'entrata in vigore, c'era stato abbastanza tempo per aggiornarsi e studiare teologicamente fin nelle minuzie la nuova liturgia che Paolo VI impose come obbligatoria? E nel frattempo, fino ad oggi, nei seminari si è fatto qualcosa in tal senso? Essendo nata appena cinquantun anni fa, si potrebbero oggi studiarne tutti gli abusi per far capire cosa non devono fare i preti Novus Ordo: e invece don Ariel stesso lamenta che coi preti di oggi, in dieci parrocchie diverse vedi dieci messe diverse.

11) Per vivere la liturgia tradizionale non è necessario avere una conoscenza professorale del latino. Al di là del fatto che il latino della liturgia è alla portata di un adolescente liceale, se bambini di quattro o cinque anni possono recitare con frutto l'Ave Maria, non si capisce perché il sacerdote dovrebbe diventare un Esperto Latinista prima di poter dire Introibo ad altare Dei. Dopotutto, oggi, gente che a stento sa scrivere il proprio nome, sa già pronunciare week-end last-minute pole-position playstation, forse non con l'accento della Regina, ma certamente con padronanza del significato. Il fatto che qualche prete tridentino sbagli qualche accento o pronuncia non implica automaticamente che è un "rigido amante delle forme che vive in un passato che non ha vissuto" ecc. ecc. Esigere che la liturgia tridentina venga limitata agli "specialisti" e latinisti è come vietare di ascoltare la musica classica a chi non ha il diploma di conservatorio. E ora come glielo dico alla nonna (che ha solo la quinta elementare) che la Riforma Musicale esige di mandare in soffitta Beethoven, Schubert, Vivaldi, Mozart, Scarlatti, e che lei può e deve ascoltare solo i trapper e persino manifestare proattivo entusiasmo?

12) Dopo 50 minuti di omelia e l'ennesima presa per i fondelli dei "latinorum", finalmente don Ariel ammette a denti stretti che a cercare le Messe Summorum sono anche i giovani, stufi delle Messe-buffonata Novus Ordo. Abolire il Summorum significa obbligarli a sorbirsi le buffonate (meglio: "originalità esotiche"), perché non tutti hanno a disposizione almeno un don Ariel (e beato il don Ariel, che può celebrare in latino! Un parroco non può realisticamente permettersi questo lusso). E dunque, per concludere: pensate che il Bergoglio che vi obbliga alla buffonata andrebbe elogiato, e il Ratzinger che vi consente di schivare la buffonata andrebbe abolito? "Ma non siate ridicoli!"

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