È ciò che emerge dalla sua lettera autografa del 29 giugno 1975, quella rimasta famosa per un argomento a dir poco bizzarro (l’affermazione che il Vaticano II, per certi versi, è perfino più importante del Concilio di Nicea). Curiosamente, della lettera non ve n'è traccia sul sito del Vaticano.
Dunque Paolo VI si è preso tutta la responsabilità (e dunque tutto il biasimo) della decisione presa altrove, sanandone così i vizi procedurali. La chiusura del seminario è irrevocabile perché non c'è autorità superiore al Papa alla quale appellarsi.
Si poteva fare appello solo nel caso che Paolo VI si fosse limitato a dare un'approvazione "accessoria" (in forma communi anziché in forma specifica), che non ha effetto sanante perché è un prendere atto della decisione di un dicastero.
Se una decisione approvata "in forma comune" si rivela fondata su falsi presupposti, il giudice può annullarla. Se invece è approvata "in forma specifica" dal Papa, non è possibile fare appello.
“Nelle cose che (il papa) vuole, la volontà sta al posto della ragione […] e non c’è nessuno che gli possa dire ‘perché agisci così?’.”http://radiospada.org/2015/05/segnatura-apostolica-anno-1975-una-disamina-canonistica-di-quello-che-e-successo-con-documenti-esclusivi/
Buona ragione per evitare l'ultramontanismo.
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