venerdì 13 settembre 2013

«doppia ermeneutica: di rottura DE FACTO, e di continuità DE VOCE»

L'aspetto più comico dei cattolici moderni è il loro meccanismo pavloviano: ah! quell'articolo critica il Papa? vergogna! via! non lo leggerò mai!!

Infatti in lingua italiana "criticare" è diventato sinonimo di "aggredire".

Nessuno ricorda più che "lettura critica" non significa aggressione o disprezzo, ma significa mettere in campo dei criteri a cui tutti (persino il Papa, persino i cattolici pavloviani) sono soggetti. Per esempio il principio di non contraddizione.

"Lettura critica" significa anche che un errore, accusato come tale, può essere invece occasione di chiarire un'espressione equivoca. L'onesta "critica" è utile anzitutto al "criticato". Ma gli ipersuscettibili cattolici pavloviani non lo sanno.

Dal lungo articolo di Radaelli che fa una lettura critica dell'enciclica Lumen Fìdei ho appreso diverse cose che non conoscevo. Ad esempio il fatto che Giovanni Paolo I e i suoi successori hanno abolito il plurale maiestatis papale. Che agli ignoranti può sembrare un'inezia ma che purtroppo è piena di significato:

http://www.enricomariaradaelli.it/aureadomus/aculeus/aculeus_critica_lumen_fidei.html


Colpisce ad esempio il fatto che nella Lumen Fìdei - "la luce della fede" - non sia usata nemmeno una volta la parola dogma

Colpisce poi l'enorme vaccata detta dal beato Giovanni Paolo II nel 1999: «La libertà religiosa è talmente inviolabile da esigere che alla persona sia riconosciuta la libertà persino di cambiare religione, se la sua coscienza lo domanda».

Dunque se un cattolico ritiene di avere in coscienza motivi per farsi islamico, deve baciare il Corano piuttosto che ubbidire al primo comandamento?


L'uomo è fatto per la verità - «tra uomo e verità non c'è neutralità»:
Riassumendo:

primo, tra verità e uomo un rapporto c’è, tale da poter dire che l’uomo è fatto per la verità, è inclinato alla verità;

secondo, questo rapporto è asimmetrico: l’uomo, fatto per la verità, la può conoscere assentendole, ossia ubbidendola;

terzo, ma l’uomo, fatto per la verità, e che per questo dovrebbe, conoscendola, assentirle, cioè ubbidirle, può anche rifiutarla, usando male della sua facoltà di scelta libera;

quarto, la costrizione della verità sull’uomo dovrebbe, per la sola autorità dell’Ente creatore da cui proviene, piegare la coscienza dell’uomo a seguirla, ma in ciò non la forza, perché in essa non c’è violenza, né dittatura, né prepotenza, essendo di pura e tutta spirituale ragione.
Sento già qualcuno sdegnarsi e urlare: aaah! l'articolo di Radaelli critica il Papa! critica due Papi! critica il loro Magistero! aaah! non lo leggerò mai! aaah! e poi apre il sito web del Corriere, per qualche finalmente sana lettura.

L'enciclica dunque ha un brutto problema: spazzato via il dogma, l'errore è costituire il Vangelo come "incontro" e non come "verità".

Considerazione mia: "incontro" non è in opposizione a "verità", ma per chi propugna il soggettivismo è comodissimo partire da incontro... Queste teologie che alla Verità antepongono l'Incontro o l'Evento o la Misericordia, fanno presa sul piano sentimentale.



Nell'enciclica Lumen Fìdei non si parla di peccati mortali, di inferno, del peccato originale, del demonio, non compaiono le parole "dogma", "eresia", "inferno". Strano, eh?

La "dedogmatizzazione" ha ovviamente come risultato la "deadorazione": come si crede, così si prega, e infatti -osservo- la Riforma Liturgica ha ipersemplificato il Breviario (l'ora canonica scende da 9 salmi a "due salmi e un cantico") ed ipersemplificato la Messa (stendiamo un velo pietoso).

Una prima conclusione:
Non si può scrivere una Lettera enciclica sulla Fede senza parlare di libertà, e non si può scrivere una Lettera enciclica sulla Fede che, parlando di libertà, non parli anche di tutti quei gravi elementi conseguenti che ne sono i necessari corollari, e che, ridotti all’osso, si possono riconoscere nel giudizio, che a sua volta deriva dal principio dell’essere, che è il principio di non-contraddizione, distintivo di bene e male (dal giudizio dipendono, come si intuisce, il peccato o la santità, la gloria o la caduta, il Regno di Dio o l’Inferno, la conversione o l’ostinazione nell’errore e nel male e altre cose così).

Però una Lettera enciclica sulla Fede che non parla di libertà e di giudizio depotenzia con ciò tre fatti:
1), l’argomento intrapreso,
2), la verità che lo sottende, e,
3), l’amore che lo veicola.

[...]

A cosa serve una Lettera enciclica sulla Fede che non denuncia gli errori e le eresie oggi pullulanti nella Chiesa, primo fra tutti la pusillanime convinzione di un celeberrimo arcivescovo di Milano, osannata dai relativisti di mezzo mondo, per la quale « ciascuno di noi ha in sé un credente e un non credente, che si interrogano a vicenda (!) » (Carlo Maria Martini, Cattedra dei non credenti, 1987)? se non si anatematizzano gli errori contro la Fede, a che dilungarsi tanto sulla Fede?  

2 commenti:

  1. Dipende da cosa si intende per libertà. Se per libertà religiosa si intende che sarebbe immorale impedire l'apostasia con la violenza o con minacce di violenza, allora concordo con il beato Giovanni Paolo II. È definita questa libertà da qualche parte?

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  2. Penso alle conversioni all'islam, obbligo rivolto ai cristiani del MO, anche a Malloula oggi.

    Sentendo queste parole o ci si mettono le mani nei capelli, o chi pontifica non ha capito cosa accade (e accadeva da un pezzo) nel mondo...altro che baci del corano...

    "Colpisce poi l'enorme vaccata detta dal beato Giovanni Paolo II nel 1999: «La libertà religiosa è talmente inviolabile da esigere che alla persona sia riconosciuta la libertà persino di cambiare religione, se la sua coscienza lo domanda».

    Incredibile. Ma dal momento che non vi è più "Dogma"...
    Non siamo messi bene, no.

    RispondiElimina

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